Massimiliano Zorzi avrebbe potuto benissimo intitolare il suo romanzo d’esordio “Educazione Padovana”, tanto fitti sono i legami che, almeno fino a certo punto (di rottura) collegano l’opera sua con quella di Nicolai Lilin. La criminalità di strada, delle campagne venete, è qui trattata non soltanto con dovizia di particolari e di espressioni (sappiamo sempre quando uno scrittore fa bene il suo lavoro: quando è in grado di mutare repentinamente stile in conformità a ciò che scorre sotto gli occhi della sua mente), ma anche e soprattutto con la descrizione di un codice d’onore tramandato nei secoli, cui deve sottostare anche la belva più pericolosa. La “Vergine delle Lame” è la dea cui devono inginocchiarsi i futuri assassini, una dea che accetta solo il sacrificio compiuto dal filo spietato di un rasoio. Il codice, in base al quale cresce il giovane protagonista, è riassunto splendidamente nella carismatica figura di Murzio: un “Nonno Kuzja” veneto, vero maestro del giovane tormentato dal demone interiore che lui stesso ha invocato, quando penzolando dal ramo di un albero, vittima di un episodio di bullismo, ha visto scorrere via la sua vita verso il mondo delle ombre, delle larve perennemente assetate del sangue e della carne degli esseri che popolano il nostro mondo.
Tuttavia, nonostante il continuo tenore a metà tra il pulp e la crime story, il paragone con altri romanzi altrettanto crudi e spietatamente realistici finisce qui, perché Zorzi non si limita a esprimere tutta la potenza del suo stile evocativo attraverso le suddette tematiche, esplora invece ben altri regni, quelli della perenne distorsione della Magia da parte degli uomini, della costante sete di potere. Zorzi (e così il suo alter ego letterario) si scaglia contro un dio impietoso, che alcuni degenerati vorrebbero adulare con orripilanti sacrifici. Pedofilia, cannibalismo, omicidio sono i metodi per pregare questo dio e, paradossalmente, il protagonista è posseduto da un’entità che non ha nulla da invidiargli quanto a spietatezza: dopo aver cercato invano di trovare un involucro adatto nientemeno che in Jeffrey Dahmer, sceglie il nostro protagonista, un guerriero offuscato sia dal bagliore della luce che da quello delle tenebre. È il cerchio del tempo e dell’eterno ritorno che questi Adepti deviati vogliono abbattere, e tentano di farlo attraverso un’impressionante serie di atrocità che ricordano le perversioni degli antagonisti nella prima stagione di True Detective, quanto a tematiche e folli ossessioni.
Queste premesse servono soltanto ad abbozzare il viaggio tenebroso in cui vuole calarci l’autore: una peregrinazione nella Nerezza, nel sangue e nelle budella del mondo, un mondo dove le speranze del protagonista sono inevitabilmente destinate a sfuggirgli di mano, così come le persone che ha tentato di amare. Il livello di gore potrebbe essere considerato eccessivo, estremo, ingiustificato: non è così, perché questa storia narra di guerrieri che si affrontano da millenni, esseri che hanno la guerra e l’odio inestricabilmente avvolti al DNA. Nel mezzo di quest’oceano di tradimenti, crimini, orge e rituali pseudo-satanici l’Autore è in grado di trasmetterci la sua passione per il mistero, per questa scomoda alleata dell’Uomo, la Magia. Zorzi passa abilmente dalla “magia delle campagne” alle più complesse teorie concepite dai celebri occultisti del Novecento, senza disdegnare le teorie di Castaneda, la droga rituale e le tradizioni africane. Il tutto condito da quella dose di dinamismo e potenza che trasforma la lettura de “L’Occhio Sinistro di Dio” in una scarica di adrenalina, la prima striscia di coca della serata, il primo drink, la prima volta con una donna, la prima volta che si è visto scorrere il sangue o ci si è trovati davanti al primo vero avversario. Alcuni personaggi sono memorabili: gli eterni guerrieri Remigio e Teodoro, che sembrano usciti da una saga epica; il terzetto di malavitosi di quartiere capeggiato dal “Nero”, il già citato Murzio, leggenda dei tempi antichi e devoto alla dea dell’onore e della vendetta, il subdolo ma affascinate stregone Giancarlo, disposto a tutto pur di ottenere quella conoscenza dell’“Altro Lato” che può donargli il dominio assoluto sugli uomini e sul Tempo. Eppure, il vero protagonista non è neppure l’Impiccato, sui cui particolari autobiografici non ci soffermeremo, poiché saranno altri a farlo, e speriamo a lungo, considerata la qualità dell’opera in questione. No, il vero protagonista non è l’involucro, ma il contenuto: il Tormentatore, l’essere di Nerezza che possiede il protagonista nei momenti più cruenti del romanzo.
Abbiamo affermato inizialmente che l’opera di Zorzi non può essere citata senza un evidente paragone con quella di Lilin: ciò è vero soltanto in parte, perché il reale punto di riferimento (consapevole o meno) qui è Barker. Le creature descritte ne “L’Occhio Sinistro di Dio” sono attratte dal sangue e dalla sofferenza degli uomini, sono tormentatori, “Supplizianti”, o creature dell’In Novo, l’abisso che separa l’Imajica dal mondo degli uomini, evocate da Adepti Neri appartenenti a culti di sangue abominevoli, i cui rituali Zorzi non si scandalizza di esaminare e descrivere fin nei dettagli più disgustosi. Ed è proprio questo che ci piace: potenza, oscurità, atrocità e allucinata follia. E, forse, redenzione. Una luce alla fine di questa avventura celata nelle tenebre del subconscio umano. Un’ascia conficcata nel legno da un guerriero pellegrino che non farà mai più ritorno, ma che conosce la verità sul sacrificio del protagonista: tutto ciò che ci ha insegnato è che per essere uomini, bisogna divenire demoni, e viceversa.
Fabio Todeschini, Giugno 2019