“Le Leggende sparano per prime” di Massimiliano Zorzi (PAV Edizioni)
Recensione
Cuori strappati. Ventri squarciati. Crani fracassati. Occhi che schizzano fuori dalle orbite. Traffici impensabili. Droga, sesso. Psicopatia. Orrori mostruosi evocati dal sangue e dalla magia nera. E una direzione, una coordinata cui puntare costantemente: la Sinistra.
Tuttavia, per quanto estremo sia il contenuto della sua prosa, assai soddisfacente per i nostri stomaci affamati di efferatezze, Massimiliano Zorzi non riesce mai a esimersi dal controllare la sua furia letteraria inserendo in essa una legge, un codice morale che sembra regolare il battito della sua scrittura.
Cambiano i personaggi ma non lo scenario: una provincia padovana ridotta all’estremo, squallido e finale battito del suo cuore nero, un paesaggio che fa sembrare la Los Angeles di Blade Runner un parco giochi per bambini. E i bambini, nell’ultimo romanzo di Zorzi “Le leggende sparano per prime” (PAV Edizioni), non hanno vita facile. Anzi, non hanno proprio vita. Ciò che interessa sono il loro sangue e la loro sofferenza, contro i quali tentano disperatamente di battersi gli ormai noti antieroi che popolano il cervello dell’Autore.
Sotto a tutto questo, un codice. Quel codice. A volte rispettato, altre volte no. Onnipresente però nel mondo di Zorzi, che narra il ventre molle padovano con un’ossessione maniacale nel descrivere il mondo del crimine e un’altrettanto cristallina perizia nel rappresentare il mondo esoterico che soggiace al primo e spesso ne è la causa. Una giustizia che sfida ogni etica, ogni morale, perpetrata dalle buie convulsioni di menti non più umane in preda a un maelstrom di follia.
Con il ciclo di romanzi dell’Autore padovano, che ha momentaneamente lasciato raffreddare la sua saga dell’Impiccato, si va delineando un nuovo genere letterario: l’Occult Splatter Pulp. Vic e la sua banda di criminali da strapazzo si muovono in una città corrotta, sporca, marcia, in cui la morte si cela dietro ogni angolo. Essi sono presi al centro di un circuito magnetico ai cui due poli si trovano il Morto, fallace dispensatore di giustizia, e il Sinistro, schizofrenico serial killer altrettanto assetato di sangue e voglioso di purificazione.
Ricordate l’incipit dei primi Books of Blood di Barker? “Siamo tutti libri di sangue, in qualunque punto ci aprono, siamo rossi.” Mai come per Zorzi questo è vero e, ancora una volta, dobbiamo affermare che, pur raggiunto inconsciamente, il punto di riferimento è l’Autore cult di Liverpool. Questo si denota soprattutto nella magistrale descrizione delle creature deformi e mostruose, abortite da un abisso di melma sanguinolenta, di cui si serve il Sinistro nel grande mattatoio finale a Villa Draghi, altro luogo d’elezione (dopo l’isola Poveglia del romanzo precedente) per noi deviati veneti.
Per quanto i personaggi siano delineati con accuratezza, l’addestramento Chaos Magick dell’Autore svolge un ruolo primario nella loro rappresentazione: il male assoluto e il bene assoluto sono, altrettanto assolutamente, banditi dalla trama. Ciò che occorre è semplicemente stare dalla parte giusta della pistola, del coltello, della mannaia… o del kruegeriano guanto artigliato con cui il Sinistro scarnifica le sue vittime in orge di catarsi al plasma.
La realtà è che anche il più aberrante atto descritto in questo libro cela in sé un oscuro senso di equità, di rettitudine, posizionate però esattamente sull’orlo del baratro che conduce al crimine, alla follia nera che si ritrova soltanto in luoghi “alla fine del fiume”, dove imperano tra teste mozzate e vapori rossastri personaggi come Kurtz o Aguirre.
Perfino uno dei più ributtanti personaggi mai usciti dalla penna di Zorzi, il candidato sindaco di Padova Fontana, ex criminale e sfruttatore di prostitute, basso e vile come pochi altri mostri letterari, cela in sé un barlume di pietà: non può resistere, nonostante non sia alieno al sangue, alla visione dei mostruosi riti cannibaleschi della setta dell’ormai famoso Giancarlo, gli adoratori del “Dio di Tutte le Cose”. E, anche se a una prima lettura può sembrare che, in effetti, il vero male si celi proprio in questo continuo divorare i più deboli, i bambini, per suggerne il leggendario adrenocromo (il cui mito si deve in gran parte a Hunter S. Thompson), la verità è che nemmeno il famigerato Angelo della Morte Giancarlo può essere considerato del tutto malvagio. Come il Morto, il Sinistro o l’Impiccato egli è convinto di agire per un bene superiore.
L’idea che il mondo sia governato da pedofili cannibali non abbandona la penna di Zorzi e, tutto sommato, finché continuerà a servirci su un piatto d’argento, magari accompagnato da un paio di strisce di coca, un mostruoso e ripugnante universo di cervella e fibre muscolari zampillanti plasma rosso brillante, non vogliamo che lo faccia. Il vero problema è che, se l’intento è la denuncia, non avrà alcun effetto sul lettore amante del genere, anzi, la sua sete di sangue, magari anche reale, non potrà che aumentare, e forse uscire dalla carta e dalle parole.
In linea di massima, infatti, lo scrivente è sulla lunghezza d’onda del Sinistro: “Guarda il mondo come appare senza gli esseri umani e poi chiediti se non sarebbe migliore.” Un’Era dei Mostri, in fondo, è tutto ciò cui ambiscono gli autentici amanti dell’horror: qualunque sia l’intento morale di Zorzi, il risultato per noi assetati di sangue è esattamente questo. Ciò non toglie, naturalmente, che un lettore meno deviato possa ricavare dal mattatoio di “Le Leggende sparano per prime” una nuova visione del mondo, della politica e del potere.
Lasciamo all’affezionato lettore scoprire i riferimenti alla precedente saga dell’Autore: ci limitiamo a riferire che non mancano, anche se devono essere svelati frase per frase, da chi ricorda i nomi occulti che possedevano i personaggi delle opere precedenti.
Anche in questo romanzo non mancano i riferimenti cinematografici, a volte macroscopici, altre volte più difficilmente percepibili. Il comportamento dei discepoli del Sinistro ci riporta a V per Vendetta e a Fight Club, entrambi incentrati su dissidenza e rivoluzione; Vic e la sua banda sono personaggi assolutamente pulp, tanto che una scena con protagonisti il Sadico (altro personaggio memorabile) e il già citato Vic è perfettamente ricalcata da Le Iene di Tarantino, con tanto di Stealers Wheel in sottofondo. Ritorna anche la prima stagione di True Detective, sia come fonte d’ispirazione sia nel tinteggiare la perversione di alcuni personaggi che avevamo già imparato ad apprezzare nelle opere precedenti.
“Sono molto lontano dallo stare bene amico…” – afferma Vic dopo la tortura.
O è Marsellus Wallace?
Beh, ci dispiace. Noi siamo stati benissimo.
Anche se la nostra sete tornerà a farsi sentire.
Fabio Todeschini