“I morti non sanno nulla”
di Massimiliano Zorzi
Recensione
Un’impressione che la lettura mi ha sempre suscitato, e che una volta divenuto un professionista del settore è aumentata sempre più, è che il sangue descritto dalle parole di un autore sia più rosso, più vivido e più reale di quello che vediamo attraverso uno schermo cinematografico, nonostante il secondo mezzo possa sembrare apparentemente più diretto.
Il motivo è semplice da intuire: è la nostra mente a rendere vivida l’esperienza dello zampillare arterioso del plasma, del suono prodotto da un arto mozzato, del gorgoglio di una gola recisa; il tutto proporzionalmente all’abilità dello scrittore nel dipingere questi quadri psichici. Questo è il basilare insegnamento occulto che pervade l’opera che sto per presentarvi: è la mente umana a rendere reale l’effetto di un atto magico, di un’idea, perfino di un sogno.
Il filosofo e politico britannico Edmund Burke affermò: “Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all’azione.” Alla fine de “L’Occhio Sinistro di Dio”, avevamo lasciato l’Impiccato, l’anti-eroe creato dalla penna del padovano Massimiliano Zorzi, certamente non ancora penzolante da una corda ma comunque in bilico, sul confine sempre più sbiadito che segna il passaggio dalla vita alla morte. L’uomo dal corpo interamente tatuato, stregone e occultista, guerriero e posseduto da un demone famelico, torna invece in azione nel secondo capitolo della saga, per cercare di far trionfare ciò che lui ritiene essere il Bene, contro un antico e insidioso nemico.
Il titolo del nuovo romanzo di Zorzi, che ha sempre come protagonista il suo alter ego, è “I morti non sanno nulla”. È una contraddizione voluta, il cui significato comprenderemo nel corso della coinvolgente lettura: i morti sanno, i morti continuano a vivere nella mente dei vivi, in mondi creati dal ricordo e dalla memoria; luoghi in cui i vivi possono recarsi e, talvolta, ricevere l’aiuto di coloro che hanno oltrepassato la Soglia. Come se ciò non bastasse, i morti parlano, anzi urlano nella mente sconvolta del protagonista, ululando con la voce del rimorso per le innumerevoli vite spezzate alla cui agonia abbiamo assistito nel primo capitolo di questa entusiasmante saga.
La citazione dal Qohelet, l’Ecclesiaste, il Radunante, appare chiara quando al protagonista, desideroso solo di obliare il suo amore perduto e le ferite che ha inferto e costretto a subire, non rimarrà altra scelta che tornare a combattere, non soltanto con la forza fisica ma anche con le armi occulte che la sua mente ha sviluppato nel corso delle avventure precedenti. Egli dovrà radunare ancora una volta uno sgangherato esercito, composto da criminali incalliti e potenti stregoni, al fine di estirpare una volta per tutte il Culto del Dio di tutte le Cose, alla cui divinità vengono offerti tributi di sangue.
Ritornano in gioco vecchie conoscenze e nuovi personaggi: tra quelli meglio riusciti nel precedente capitolo, spicca la comica banda di reietti capeggiata dal “Nero”, il rinnegato nipote di Murzio, mai considerato degno di appartenere ai Figli della Vergine delle Lame e al codice d’onore dei criminali padovani. Le cose, tuttavia, cambieranno anche per lui in un modo che non potete immaginare.
Esaurita nel precedente capitolo la parte più autobiografica della sua storia, Zorzi può ora arricchire la narrazione degli studi che ha compiuto sul Voodoo, incarnandoli nei personaggi della splendida Amara e del terribile Tobebe, il bokor cannibale che si serve del Cerchio della Fraterna Amicizia per i suoi scopi egemonici. Laddove nel primo capitolo le suggestioni con cui ci affascinava l’Autore risalivano al codice d’onore narratoci da Nicolai Lilin nel suo best seller, ora l’ispirazione viene anche dal cinema, dalla fortunata prima stagione di True Detective, per le elucubrazioni sul tempo e sull’eterno ritorno; oppure di Stranger Things per il mondo del “sottosopra”, corrispondente al Nagual di Castaneda, passando per il pulp di Tarantino, tra orecchie mozzate con insuperabile humour nero.
Anche il Circolo si è modernizzato: il figlio del demoniaco stregone Giancarlo, Max, ha ideato nuovi metodi per avviluppare le vittime sacrificali nella sua rete, al fine di saziare la sete di sangue dell’élite, convinta che il Dio di Tutte le Cose possa conferire ai suoi adepti il potere di trascendere il “cerchio piatto” del tempo e della dissoluzione. La sorella della co-protagonista Francesca, infatti, è adescata con metodologie che ricordano lo scandalo “Blue Whale Challenge”, o simili sfide online in cui spesso finiscono per cadere ingenui adolescenti; l’interesse dell’Autore per questi temi d’attualità è ben noto ai suoi lettori.
Il codice d’onore della criminalità legato al culto della Vergine delle Lame è ormai tramontato a Padova: a comandare è la mafia russa, o la Black Axe nigeriana, che ha importato i suoi culti sanguinolenti, con le quali dovranno vedersela non soltanto l’Impiccato ma anche i suoi eterni amici/nemici, i residui di un’era al crepuscolo, in cui brilla ancora il barlume di fedeltà al principio della difesa dei più deboli.
Il mondo di Zorzi, pur essendo duro e spietato, non concede al lettore di immaginare una netta divisione tra il Bene e il Male, poiché non sono che due costrutti psichici: sia l’Impiccato e i suoi seguaci, sia i fedeli al Circolo agiscono sulla base di ciò che considerano aderente alle motivazioni del loro spirito. Tuttavia, è palese da parte dell’Autore la condanna di determinati atteggiamenti, primo tra tutti lo stravolgimento nichilista delle massime “Nulla è Vero. Tutto è Permesso” e “Fai ciò che vuoi sarà l’intera Legge”. La prima attribuita al Gran Maestro degli Hashashins, Hassan Ibn Sabbah, fatta propria dalla controcultura degli anni ’60 (primo tra tutti, William S. Burroughs) e dalla Chaos Magick; la seconda motto principale del Thelema, la filosofia magica divulgata dal famoso occultista Aleister Crowley. Una lontana discendente di quest’ultimo, inoltre, vi darà motivo di sognare, di amare, ma anche di odiare.
Suggestioni wiccan, magia zingaresca, sigillazione, scene splatter al limite della sopportazione che ricordano i riti abbietti del Barone Gilles de Rais, voodoo, sciamanismo, il mito del Golem, maghi strampalati ma potentissimi si susseguono nelle pagine del romanzo, in un caleidoscopio allucinante che dimostra non soltanto la cultura esoterica dell’Autore ma anche la sua capacità di mescolare tali interessi al tessuto vitale della sua terra natia, con la quale il cordone ombelicale non deve mai essere reciso.
Ovviamente, chiunque speri in una conclusione definitiva resterà deluso: il male non muore mai, nell’ottica di Zorzi, e i più potenti stregoni trovano sempre il modo di eludere le fauci del Dio che tutto divora. Il sangue versato nell’apocalittico finale, in un’isola Poveglia spazzata da una tempesta sovrannaturale (e che, da veneziano e assiduo frequentatore giovanile, non posso che ammirare), non sarà vano: cambierà per sempre tutti coloro che non sono stati divorati dai morti viventi o massacrati nel mattatoio della festa del Circolo.
Il solo assistere a un conflitto tra esseri appartenenti a una realtà “altra” muterà per sempre la prospettiva della verità anche dei più ottusi, come il simpatico finto intellettuale Pesce, o l’arcigno Nero, in cui si produrrà un vero cambiamento, forse verso quell’idea del Bene condivisa dai Fedeli alla Vergine.
Il vero protagonista però, ancora una volta, è Rohus Kal Dhaar, il demone che possiede l’Impiccato, che considera “il suo involucro”; il lupo famelico che non ha altra ambizione se non divorare tutto e tutti, che si considera più potente del Dio di Tutte le Cose, e che tuttavia finisce per essere una risorsa da usarsi in casi estremi. E, ne “I morti non sanno nulla”, ogni aspetto della storia è estremo. Sono la carne e il sangue a dare potere ai simboli, poiché pongono la mente umana nel suo stato ancestrale, famelico, desideroso di emergere dai profondi abissi del subconscio.
Demoni che si considerano più potenti del Dio da cui tutto promana e che tuttavia ambiscono all’umanità, quale veicolo di potenza sul piano materiale; uomini che desiderano quel potere che è prerogativa del Tempo e della Morte, i grandi divoratori della vita e della coscienza. Come in altri autori di questo genere, spesso gli esseri appartenenti ad altri piani d’esistenza appaiono ossessionati dalle stesse pulsioni umane, dagli stessi vizi e, talvolta, dalle stesse virtù.
“Poiché è il tempo che noi combattiamo, la dissoluzione, l’eterno ritorno e la disperazione di una vita vuota. Il suo occhio sinistro è attratto dalla sofferenza, dal dolore, dall’agonia. Ora noi sappiamo che se ci nutriremo come Dio, egli ci riconoscerà come suoi figli…” – annuncia nel suo delirio il figlio dello stregone, prima di dare il via al macabro banchetto del Circolo, in cui per non essere divorati bisogna nutrirsi come il Dio di Tutte le Cose, che ingurgita mondi e universi, cieco e insensibile a qualunque preghiera. La sua totale trascendenza non fermerà comunque i tentativi della mostruosa setta di mettersi in contatto con Lui e cercare di ottenerne i favori.
Particolarmente degno di nota è un brano squisitamente psiconautico, nel quale la co-protagonista Francesca dovrà farsi strada nella mente stessa dell’Impiccato, al fine di rimettere le catene al mostruoso demone fuoriuscito dall’“involucro” umano. Un mondo creato dall’immaginazione, in cui il protagonista si è rifugiato per evadere dall’orrore e per rimanere con l’ombra del suo amore perduto.
Come in un sogno risuonano all’orecchio i famosi versi di una canzone: “Hai scambiato un ruolo da comparsa in guerra per un ruolo da protagonista in gabbia?” – La risposta è ovvia: il Guerriero tornerà sempre in prima linea.
Fabio Todeschini
Libreria Esoterica Il Sigillo